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Opinioni che contano...
“L'uomo che sa è come un albero che porta molti frutti...”
 

Nella stagnazione si deve aver fiducia solo in se stessi
di Francesco Alberoni

By Corriere della Sera

Vi sono, nella storia dei popoli, delle nazioni, delle città dei periodi di espansione, di creatività, dove tutti sono attivi, con nuove idee e la capacità di realizzarle. È successo nell'Italia del dopoguerra, povera, distrutta ma con una straordinaria carica vitale. Essa ha prodotto il «miracolo economico italiano». In realtà qualcosa di più perché, in quel periodo, eravamo all’avanguardia nel disegno industriale, nel cinema, avevamo grandi scrittori, prendevamo premi Nobel nella chimica, nella letteratura, nella medicina. Poi il momento d'oro è passato. E sono balzati alla ribalta altri Paesi, come il Giappone, la Cina. Pensiamo oggi alla straordinaria fioritura di registi, attori, scenografi del cinema australiano-neozelandese. Nei periodi di espansione creativa un’idea nuova trova subito chi la capisce, l'accoglie e la sviluppa. Allora anche i conflitti sociali violenti non diventano paralizzanti perché tutti capiscono istintivamente che non risolvi i problemi prendendo qualcosa al vicino, impedendogli di fare, ma solo lavorando, inventando, producendo cose nuove e diverse. Guardando al futuro, non al passato. Aprendosi, non chiudendosi sul mondo, sfruttando le occasioni, con energia, ottimismo, fiducia.
L'opposto avviene nei periodi di ristagno. La gente ha paura del nuovo, del diverso. In ogni cambiamento vede solo pericoli. Si rinchiude come in una fortezza e crede si possa migliorare solo portando via a qualcun altro. È la competizione nella stazionarietà: in qualsiasi campo, in qualsiasi settore, qualunque cosa tu faccia, troverai gente vorace, diffidente, sulla difensiva. Nel film di Martin Scorsese The gangs of New York c'è una comunità di immigrati chiusi nel proprio quartiere, incapaci di guardare al di fuori, prigionieri dei propri pregiudizi e dei propri odi che, alla fine, si annientano in una feroce battaglia. Mentre, appena poche strade più in là, il Paese si espande, si sviluppa, si trasforma. Nella vita la gente lavora, lotta, sopporta la sofferenza quando ha un sogno, un ideale. Quando ha speranza. La speranza porta fuori dai confini della comunità avvelenata, porta fuori dall'ossessione del presente. Nel dopoguerra gli italiani hanno lasciato i villaggi contadini poveri e senza prospettive, sono emigrati all'estero, nelle città industriali, e dopo aver visto cosa facevano gli altri e di cosa aveva bisogno la gente, hanno creato imprese, inventato prodotti da esportare dovunque.
È possibile creare, espandersi nei periodi di cupa passività, quando manca la speranza? Sì. Ma non puoi aspettare di farlo insieme a tutti gli altri. Non puoi nemmeno contare sulle istituzioni, che sono passive. L'aiuto te lo daranno dopo, quando avrai successo. Devi rompere il blocco da solo, con pochi amici, con chi se le sente di venire. Senza guardarti indietro, senza cercare di salvare chi è inerte, lento, pauroso. Devi andare nel mondo e cercare idee, occasioni, opportunità, soci, alleati, clienti, collaboratori. Come hanno fatto i mercanti veneziani, fiorentini, olandesi, inglesi, come abbiamo fatto noi stessi nel passato. Gli altri poi ti seguiranno. E arriveranno anche i capitali e le istituzioni.


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