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Opinioni che contano...
“L'uomo che sa è come un albero che porta molti frutti...”
 

La costituzione dell'Europa
di Monica Ricci Sargentini
By Corriere della Sera

Segue...

Il quadro istituzionale

IL QUADRO ISTITUZIONALE

Le istituzioni dell'Unione (art.18)
L'Unione dispone di un quadro istituzionale unico che mira a:
- perseguire gli obiettivi dell'Unione,
- promuoverne i valori,
- servire gli interessi dell'Unione, dei suoi cittadini e dei suoi Stati membri, nonché a garantire la coerenza, l'efficacia e la continuità delle politiche e delle azioni da essa condotte al fine di raggiungerne gli obiettivi.
Tale quadro istituzionale comprende:
Il Parlamento europeo,
Il Consiglio europeo,
Il Consiglio dei ministri,
La Commissione europea,
La Corte di giustizia dell'Unione europea,
La Banca centrale europea,
La Corte dei conti.
Il Parlamento europeo (art.19)
Il Parlamento europeo esercita, congiuntamente al Consiglio, la funzione legislativa e funzioni di controllo politico e consultive, secondo le condizioni stabilite dalla Costituzione. Esso elegge il Presidente della Commissione europea.
Il Parlamento europeo è eletto a suffragio universale diretto dai cittadini europei nel corso di uno scrutinio libero e segreto per un termine di cinque anni. Il numero dei suoi membri non può essere superiore a settecento. La rappresentanza dei cittadini europei è garantita in modo regressivamente proporzionale, con la fissazione di una soglia minima di quattro membri del Parlamento europeo per Stato membro.
Il Consiglio europeo (art.20)
Il Consiglio europeo dà all'Unione gli impulsi necessari al suo sviluppo e definisce i suoi orientamenti e le sue priorità politiche generali.
Il Consiglio europeo è composto dai Capi di Stato o di governo degli Stati membri, dal suo Presidente e dal Presidente della Commissione. Il ministro degli affari esteri partecipa ai suoi lavori.
Il Consiglio europeo si riunisce ogni trimestre su convocazione del suo Presidente. Salvo nei casi in cui la Costituzione disponga altrimenti, il Consiglio europeo si pronuncia per consenso.
Il Presidente del Consiglio europeo (art.21)
Il Presidente del Consiglio europeo è eletto dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata per un periodo di due anni e mezzo. Il suo mandato è rinnovabile una volta (...)
Il Presidente del Consiglio europeo presiede e anima i lavori del Consiglio europeo e ne assicura la preparazione e la continuità. Egli si adopera per facilitare la coesione e il consenso in seno al Consiglio europeo. Egli presenta al Parlamento europeo una relazione dopo ciascuna delle sue riunioni. Il Presidente del Consiglio europeo non può essere membro di un'altra istituzione europea o esercitare un mandato nazionale.
Il Consiglio dei ministri (art.22)
Salvo che la Costituzione non disponga diversamente, il Consiglio delibera a maggioranza qualificata.
La Commissione europea (art.25)
La Commissione è composta da un rappresentante per ogni Paese membro fino al 2014, in seguito il numero dei commissari verrà ridotto e sarà pari ai due terzi degli Stati appartenenti all’Unione.
Il Presidente della Commissione europea (art.26)
Tenuto conto delle elezioni del Parlamento europeo, il Consiglio europeo, deliberando a maggioranza qualificata, propone al Parlamento europeo un candidato alla carica di presidente della Commissione. Tale candidato è eletto dal Parlamento europeo alla maggioranza dei membri che lo compongono. (...)
Il ministro degli Affari esteri (art.27)
Il Consiglio europeo, deliberando a maggioranza qualificata con l'accordo del presidente della Commissione, nomina il ministro degli affari esteri dell'Unione. Questi guida la politica estera e di sicurezza comune dell'Unione.
Il ministro degli Affari esteri contribuisce con le sue proposte all'elaborazione della politica estera comune e la attua in qualità di mandatario del Consiglio. Egli agisce allo stesso modo per quanto riguarda la politica di sicurezza e di difesa comune.
Il ministro degli Affari esteri è uno dei vicepresidenti della Commissione europea. In seno a tale istituzione, egli è incaricato delle relazioni esterne e del coordinamento degli altri aspetti dell'azione esterna dell'Unione. Nell'esercizio di queste responsabilità in seno alla Commissione e limitatamente alle stesse, il ministro degli affari esteri è soggetto alle procedure che regolano il funzionamento della Commissione.
La Corte di giustizia dell'Unione europea (art.28)
La Corte di giustizia, compreso il Tribunale, assicura il rispetto della Costituzione e del diritto dell'Unione. Gli Stati membri stabiliscono i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nel settore del diritto dell'Unione.
La Corte di giustizia è composta da un giudice per Stato membro ed è assistita da avvocati generali. Il Tribunale è composto da almeno un giudice per Stato membro: il numero dei giudici è stabilito dallo statuto della Corte di giustizia.
Disposizioni particolari all'attuazione della politica estera e di sicurezza comune (art.39)
L'Unione europea conduce una politica estera e di sicurezza comune fondata sullo sviluppo della reciproca solidarietà politica degli Stati membri, sull'individuazione delle questioni di interesse generale e sulla realizzazione di un livello di convergenza delle azioni degli Stati membri in costante crescita.
Il Consiglio europeo individua gli interessi strategici dell'Unione e fissa gli obiettivi della sua politica estera e di sicurezza comune.(...)
Disposizioni particolari all'attuazione della politica di difesa comune (art.40)
La politica di sicurezza e di difesa comune costituisce parte integrante della politica estera e di sicurezza comune. Essa assicura che l'Unione disponga di una capacità operativa ricorrendo a mezzi civili e militari. L'Unione può avvalersi di tali mezzi in missioni al suo esterno per garantire il mantenimento della pace, la prevenzione dei conflitti e il rafforzamento della sicurezza internazionale, conformemente ai principi della Carta delle Nazioni unite. L'esecuzione di tali compiti si basa sulle capacità fornite dagli Stati membri.

Azione esterna dell'Unione

AZIONE ESTERNA DELL’UNIONE

Democrazia (art. 193)
L’azione dell’Unione sulla scena internazionale si fonda sui principi che ne hanno informato la creazione, lo sviluppo e l’allargamento e che si prefigge di promuovere nel resto del mondo: democrazia, stato di diritto, universalità e indivisibilità dei diritti dell’uomo (...), rispetto del diritto internazionale conformemente ai principi della Carta delle Nazioni unite.
Politica estera e di sicurezza (art.195)
Gli Stati membri sostengono attivamente e senza riserve la politica estera e di sicurezza comune in uno spirito di lealtà e di solidarietà reciproca.
Gli Stati membri (...) si astengono da qualsiasi azione contraria agli interessi dell’Unione o tale da compromettere l’efficacia come elemento di coesione nelle relazioni internazionali.

(Pagina a cura di Monica Ricci Sargentini)

 

I commenti
 
A carte scoperte
di SERGIO ROMANO

Prima di giudicare il Consiglio europeo di ieri propongo un rapido sguardo agli ultimi quindici anni. Capiremo meglio perché l’Europa dei 25 potesse difficilmente produrre un risultato migliore. La fine della Guerra fredda ci lasciò in eredità alcuni orfanelli, emersi dal collasso dell’impero sovietico, che chiedevano alla Comunità sviluppo e sicurezza. Ma noi, allora, ci stavamo preparando a un passo decisivo verso l’integrazione economica e monetaria. Li mettemmo in sala d’aspetto, li aiutammo a smantellare la loro economia comunista e promettemmo di occuparci di loro appena possibile. Molti (fra cui Jacques Delors, presidente della Commissione) pensavano che i 12 della Comunità avrebbero dovuto limitarsi a creare con i nuovi arrivati una grande zona di libero scambio.

Il risultato sarebbe stato un’Europa composta da due cerchi concentrici: un nucleo compatto e federale circondato dagli altri all’interno di una vasta confederazione. Altri, invece, volevano accogliere gli ex comunisti come soci, con tutti i diritti e i doveri dei vecchi membri. La Gran Bretagna, in particolare, vide nell’allargamento la possibilità di spegnere le ambizioni federaliste dei partner. Era entrata nella Comunità per controllare e rallentare l’integrazione. L’allargamento avrebbe garantito il successo della sua politica.

Vinsero gli inglesi. Quando nel ’95 Austria, Finlandia e Svezia entrarono nell’Unione fu evidente che non era possibile procrastinare indefinitamente l’ingresso degli altri. Ma non appena cominciammo il negoziato capimmo che 10 nuovi soci (agli 8 ex comunisti s’erano aggiunti Cipro e Malta) avrebbero aperto l’Europa ad altri membri e l’avrebbero resa ingovernabile. A Nizza, nel dicembre 2000, cercammo, insieme ai candidati, di fissare nuove regole e di definire principi comuni: diritti civili e sociali, sistema di voto, riduzione del numero delle questioni soggette al principio di unanimità, composizione della Commissione e del Parlamento.

Ma la Gran Bretagna poteva contare ormai su molti alleati: Paesi (come Spagna e Polonia) poco sensibili al sogno europeo dei fondatori, interessati a servirsi dell’Unione per il loro sviluppo, decisi a conservare la loro sovranità e inclini a considerare le loro relazioni con Washington più utili dei legami con Bruxelles. La decisione di affidare a una Convenzione il compito di scrivere una carta costituzionale fu una manifestazione di buon senso e uno scatto d’orgoglio. Il testo rappresentò, rispetto a Nizza, un considerevole progresso. Fu questa, probabilmente, la ragione per cui a Bruxelles, nello scorso dicembre, non venne approvato.

La responsabilità fu soprattutto spagnola e polacca. Ma dietro le posizioni di Madrid e Varsavia sul sistema di voto vi era Londra, lieta di lasciare ad altri il compito ingrato di andare all’assalto e sporcarsi le mani. Il dibattito di ieri a Bruxelles ha avuto almeno un merito: ha costretto gli inglesi a scoprire le carte. Non hanno ottenuto tutto, ma sono riusciti, ancora una volta, a frenare e diluire il processo d’integrazione. Il timore delle conseguenze di un nuovo fallimento ci costringe ad applaudire. Ma non ci impedisce di constatare che vi sono in Europa almeno due famiglie, ispirate da filosofie diverse. La logica vorrebbe che riconoscessero la loro differenza e che ciascuna di esse potesse scegliere la propria strada.

 

Un passo avanti e nuovi timori
di FRANCO VENTURINI

BRUXELLES - Due sentimenti contrastanti si fanno strada ora che la convulsa maratona di Bruxelles ha finalmente prodotto un accordo sulla Costituzione europea. Il primo è un sentimento di sollievo. Non soltanto perché un nuovo rinvio avrebbe avuto il sapore di un’abdicazione collettiva, non soltanto perché in tal modo l'Unione avrebbe dato la risposta sbagliata alla disaffezione dei suoi popoli. Anche perché la nuova Charta, pur lontana dalle ambizioni iniziali, rappresenta comunque un balzo in avanti nella vita comunitaria. Nel trattato approvato ieri l'Europa acquista una personalità giuridica, competenze e procedure di funzionamento vengono adattate all'allargamento già compiuto e a quelli in arrivo, nasce un ministro degli Esteri europeo, le presidenze di turno dureranno trenta mesi invece di sei e crescono i poteri del parlamento di Strasburgo. Il primo vertice europeo a Venticinque (e il primo con l'introduzione di altre nove lingue ufficiali) ha dunque compiuto un passo di indubbio rilievo. Ma il secondo sentimento è di inquietudine. Perché la sospirata Costituzione europea è anche carica di difetti e di macchinose insufficienze imposte dagli Stati, al punto che ieri, invece di celebrare al meglio una festa comune, i Venticinque si sono ripetutamente scontrati mettendo in campo interessi contrapposti e diverse sensibilità nazionali. È riesplosa la vecchia ruggine tra Chirac e Blair, che soltanto sulla difesa riescono a trovare l'accordo. I polacchi hanno lottato fino all'ultimo sui numeri della «doppia maggioranza» per il voto in Consiglio. Paesi piccoli e medi hanno formato una coalizione che per molte ore ha dato filo da torcere ai Grandi. E l'errore compiuto dalla presidenza irlandese, che alla volata finale sulla Costituzione ha affiancato sin da giovedì sera il problema del successore di Prodi, ha gettato olio sul fuoco, portando alle stelle l'animosità delle parti prima di costringerle al nulla di fatto. Tanta litigiosità potrebbe essere considerata normale secondo i canoni europei, e dunque poco pericolosa, se le sue motivazioni non trovassero ampio riscontro nel testo approvato. Senza entrare in dettagli tecnici, limitiamoci a rilevare che i progressi compiuti nell'estensione del voto a maggioranza sono stati minimi. Qui il messaggio è chiaro a tutti: più si dovrà decidere all'unanimità (come voleva soprattutto Blair) e meno si riuscirà a decidere. La difesa e la politica estera, con la parziale eccezione di proposte che vengano dal nuovo ministro degli esteri, figurano tra i settori «imbrigliati». Ma sono proprio loro a determinare oggi l'immagine di uno Stato o di una Unione di Stati, a rendere riconoscibile e credibile un’identità, ad avere presso i popoli una capacità di provocare emozioni e se necessario mobilitazioni. Pur essendo in buona compagnia (dalla politica fiscale al diritto del lavoro), la difesa e la politica estera diventano così il simbolo di un futuro europeo difficile quanto scarsamente ambizioso.
Almeno sulla carta. Perché in realtà sarà il rapporto tra il primo e il secondo sentimento, tra il sollievo e l'inquietudine che oggi accolgono il primo trattato costituzionale europeo, a disegnare l'Unione di domani. Se l'Europa allargata funzionerà, se crescerà la volontà collettiva di essere presenti e di contare sulla scena mondiale non soltanto attraverso la moneta e l'economia (peraltro asfittica), anche la Costituzione dovrà evoluire e riconoscere l'Europa comunitaria per quello che è: l'organizzazione che nella Storia ha con maggior successo esportato valori, regole e istituzioni senza l'uso della forza. Altrimenti, se gli egoismi nazionali resteranno quel che sono oggi e manterranno il loro potere di blocco, dalla paralisi e dalla frustrazione europee potrebbero nascere nuove spinte integrazioniste che difficilmente si rassegneranno all'ortodossia delle «cooperazioni rafforzate». La Costituzione approvata non è, non deve essere per l'Europa un punto di arrivo. La sfida del futuro, ben al contrario, comincia ora. Dalle ratifiche.


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