L’obiettivo che
mi sono posto con questo articolo è quello di evidenziare, se pur
in sintesi e forse senza il grado di approfondimento dovuto,
qualche aspetto problematico della situazione economica della
nostra provincia, tentando anche di esporre, e magari stimolare
in altri, qualche riflessione “di metodo”. Premetto che so
benissimo che alcun cose sono note e stranote da anni, e che non è
mia intenzione di apparire disfattista o pessimista. Credo però
che troppo spesso ascoltiamo parole vuote e sganciate dalla
realtà, e che negare l’esistenza di una malattia o ignorarne i
sintomi non faccia diminuire il malore che questa è in grado di
generare.
Ritengo che il miglior modo, in
generale, per approcciare un problema, e per poi provare ad
affrontarlo, sia quello di mettere, prima di tutto, a fuoco, cioè
di comprendere, il tipo di fenomeno, e la sua entità, con cui ci
si deve misurare. Nel campo dello sviluppo locale questo sembra
essere un concetto, apparentemente, acquisito: ogni atto o
documento a carattere programmatico è infatti preceduto da una,
più o meno approfondita ed aggiornata, “analisi territoriale”,
ossia un fotografia, a 360 gradi (dai dati economici e sociali a
quelli geografici, storici e culturali) del territorio con
riferimento al quale si intende promuovere interventi di sviluppo
economico-sociale “integrati”.
Tale analisi tuttavia dovrebbe
costituire il costante riferimento per la messa a punto di
strategie, obiettivi ed azioni e per la misurazione dei risultati
raggiunti, senza essere ridotta dunque ad un adempimento
“burocratico”, quasi ad un passaggio dovuto nel processo di messa
a punto di documenti di programmazione a volte intesi da alcuni
protagonisti della politica locale come strumenti per consentire
di “accaparrarsi”, di prenotare in un certo senso, risorse
pubbliche destinate agli investimenti in aree “sottoutilizzate”.
In tema i sviluppo locale sarebbe
auspicabile avere in generale un approccio “realistico”: credo,
infatti, che le informazioni su indicatori economico-sociali
territoriali, vadano utilizzate come parametri di misurazione e
confronto con le nostre situazioni locali, tentando (basta almeno
tentare, e per fortuna a volte c’è qualcuno che lo fa!) di
individuare interventi che impattino direttamente su tali
indicatori. Una costante tensione verso i risultati ed una
visione chiara della realtà alla lunga si potrebbe rivelare una
strategia vincente.
Venendo a noi, ho preso in
considerazione alcuni dati estrapolati dall’ “Analisi della
situazione economica della Sicilia 1999-2003”, pubblicata sul
sito della Regione Sicilia, che ho trovato molto interessanti e
che mi auguro costituiranno (insieme ad altro, per carità!) il
punto di partenza dei ragionamenti che ascolteremo nelle piazze,
sotto i palchi, durante le ormai prossime campagne elettorali che
interesseranno vari livelli di governo.
Dai detti dati emerge che la provincia
di Messina nel 2001 si è collocata al primo posto in assoluto
nella Regione per reddito pro-capite. Tuttavia il dato negativo,
ed a mio avviso più significativo, è che l’aggregato che consente
di apprezzare la crescita del sistema economico, il valore
aggiunto pro-capite reale (ossia depurato da variazioni dovute
all’inflazione dei prezzi), cioè la differenza tra il valore della
produzione di beni e servizi conseguita dalle singole branche
produttive e il valore delle materie prime e ausiliarie e dei
servizi impiegati, nel 2003 era pari al 70,4% della media
nazionale, non avendo subito sostanziali variazioni rispetto al
1996, quando rappresentava il 70,1% della media nazionale. Nel
2003 per altro, il settore dei servizi, tra cui vanno inquadrate
anche le attività in campo turistico, ha subito un calo del 5,7%
rispetto al 2002. In tale senso è bene ricordare anche che a
livello regionale, il tasso di utilizzazione lordo delle
strutture alberghiere, prossimo al 40% nel 2001, è crollato al
33,2% nel 2003. Appare evidente che non è sufficiente la creazione
di nuovi posti letto, ma che probabilmente, occorre parallelamente
agire meglio in termini di marketing, perché il nuovo potenziale
di ricettività diventi da subito strumento per l’incremento del
turismo.
In poche parole: la nostra economia
fatica ancora a creare “valore”, cioè ricchezza.
A ciò va aggiunto che, in provincia:
-
il tasso di attività è
diminuito ogni anno dal 2001 (47,4%) al 2003 (44,2%): ci sono cioè
meno forze lavoro, occupate o in cerca di occupazione, sul totale
della popolazione, rispetto a prima;
-
abbiamo un tasso di
occupazione, ossia un rapporto tra gli occupati e la popolazione
nella classe di età 15-64 anni anch’esso in calo (36,5% nel 2001,
34,5% nel 2003): ci sono cioè meno persone occupate tra i 15 ed i
64 anni;
-
abbiamo un tasso di
disoccupazione, ossia un rapporto tra le persone in cerca di
occupazione e le forze di lavoro che è aumentato nel 2003 (22%)
rispetto al 2002 (20,5%), anche se è leggermente più basso
rispetto al 2001 (23%): al di là del fatto che siamo su cifre
elevatissime rispetto al dato nazionale (sotto il 9%), aggiungo
che l’indicatore rischia di non cogliere la cosiddetta
“disoccupazione scoraggiata”, cioè quelle persone che non cercano
più un lavoro, stanche dei continui insuccessi nella ricerca, e
che inoltre, tra il 1999 ed il 2003, si è registrato un calo delle
forze di lavoro, cioè è diminuito il denominatore del rapporto...
giancarlo.lopresti@siciliamercato.it
*La
seconda parte di quest’articolo sarà pubblicata la prossima
settimana
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