Cosa sia potuto accadere dopo è facile immaginare.
Complici le betulle e le ginestre in fiore, l'acro odore delle
felci e l'olezzar dei gelsomini, la stima per quel ragazzo dal rubicondo volto
si tramutò prima in affetto e poi, quindi, come nelle favole a lieto fine, in
imperituro amore.
Fu così che qualcuno venuto dalle impervie zone dei monti
madoniti impalmò la "nobile" maestrina scesa ad accudire incolte
menti arroccate nello spasimo di render fertile un irto ed inospitale sito
(Scafa).
E fu, anche, in questo modo che "Cicciuzza", di
origine nasitana, ma scafiota d'adozione, entrò prepotentemente nella vita del
giovane "Nitto" (al secolo,Benedetto), condizionandone l'esistenza
finchè fiato lo sorresse.
Per la verità, due sono stati i grandi amori del mistrettese.
Oltre alla moglie che sempre venerò subendone anche la
preponderante notorietà, nel 1935 la Sua vita fu folgorata da una improvvisa
gioia per il tanto atteso arrivo dell'erede al ...trono.
E Lui, l'erede, non mancò di far valere, quasi subito, la sua
leader schip dando sfogo, con quanto fiato aveva in gola, ad un dirotto pianto
da soffocare ogni gesto di carezzevole affetto.
Si seppe, dopo, consultando i luminari dell'epoca, che il lungo
"guaire" dell'insofferente infante dimostrava il suo rifiuto ad
affrontare gli immancabili disagi della vita, preferendo il dolce tepore del
grembo materno. Insomma, il neonato di già mostrava, per così dire, chiari
sintomi di indolenza (leggasi, nobiltà) che fecero felici i genitori per la sua
sicura origine da geni di nobile retaggio.
Così, il "barone", come si disse poi
dell'aristocratico erede, si infilò nella mente e nel cuore dei genitori che,
nel proporsi al di lui cospetto, nel segreto delle mura domestiche (secondo i
cognati) lo chiamavano "eccellenza".
Cominciò, dunque, per Benedetto (inteso, Nitto), come si sarà
compreso, il pellegrinaggio al seguito dell'unigenito figlio maschio che sarebbe
cessato solo sul letto dell'ultimo respiro.
Lo seguì in tutte le sue estrosità, in tutte le sue
fissazioni abdicando dalla Ditta Sorbello, seguendolo nella vendita
di macchine agricole (haimè), in quella di motocicli (haimè), nell'altra di
auto (haimè) ed, infine, nell' "Enoteca del Capo" (purtroppo),
defilandosi,però, nella cessazione di quest'ultima per causa di forza maggiore,
essendo astemio. Imparò, anche, a cucinare, a far da segretario, da
garzone e da commesso, adottando gli amici del figlio (compreso me),
trascurati per un'altra sciagurata "fisima": correva in motoscafo.
Ed allora, di chi la rievocazione ? Oh,certo, del
padre...ma provate un pò voi a dividere le due storie e...scusate per il
disturbo.
Tano Raneri
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