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Per non dimenticare...

DON COSIMO EMANUELE

barbiere e ricevitore

 

    

La rievocazione di questa "figura", cara ad una moltitudine di persone (ed a me, in particolare), poteva avere inizio con la trascrizione della nota poesia del Vate Lucio Piccolo destinata al suo barbiere e per tanto tempo esposta nell'esercizio di Piazza Matteotti. Ma, come si sa, nessuno è profeta in Patria e men che meno il sottoscritto che non ne possiede neanche le qualità.

Al rammarico per non aver potuto, l'estrema determinazione, però, a non deflettere dal proposito di richiamare alla mente chi, per primo, ci chinò, delicatamente, il tremante, piccolo capo per iniziarci al taglio dei capelli all' "umberta".

E la poesia? Un omaggio, con dedica, del Poeta che, sulla metrica del Cirano, parafrasava la celeberrima frase a beneficio di un improbabile spadaccino" munito solamente di forbici e rasoio.

Chi fosse "don Cocimu" era fin troppo facile a dirsi giacchè la Sua delicatezza, i Suoi modi garbati, il Suo defilarsi pur comprimario sul palcoscenico della Sua arte, Gli creavano una immagine che definire esemplare non sarebbe esagerato. Ma, nell'esercizio di quell'altra attività, che nacque per caso e sconfinò in un Suo totale coinvolgimento, per l'immaginario collettivo, era l'emblema della speranza. Era l'uomo a cui era d'obbligo un amico sorriso quasi fosse il "Caronte" buono del tuo destino incaricato di traghettarti sulla riva della "dea bendata"; era,in buona sostanza, il procacciatore delle tue fugaci illusioni, il latore di quel "tanto fatto di niente" che dischiude le ali alla tua irriducibile voglia volare. E Lui questo ruolo lo impersonificava magistralmente come, finchè potè, fu il "barbiere" per antonomasia, gestendo la piu importante sala del circondario.

Dai folti capelli ondulati con discriminatura a sinistra, baffetti alla Erol Flinn (?!) su una dentatura intatta, istruì schiere di giovani  talenti nella nobile arte del "figaro". Ma si divise tra l'essere ed il volere optando per la volontà di aderire il più possibile al Suo grande amore che si chiamò, sin dal primo momento, "Totocalcio".

Poi, lo scorrere della vita finchè salute lo sorresse  ed il rispetto della Sua ultima volontà affidata alla Sua ammirevole famiglia. Un testamento semplice, chiaro, tenero come fu il Suo modo di essere che i congiunti non mancarono di esaudire: volle che nella bara, con Lui fossero rinchiuse le "schedine" della Sua ultima settimana da ricevitore.

Nel mio girovagare, ancora, il ricordo di un incarico provinciale in rappresentanza degli artigiani e, forse, anche dei ricevitori, ma, questo, in vero, non aggiungerebbe granchè all'aspetto di don Cosino Emanuele amico di tutti, in tutte le stagioni.-

Morì nel 1990 all'età di 70 anni.- 

                                                                                                    Tano Raneri